Il 23 novembre 1980, alle 19.33 della sera, una terribile scossa devasta l’Irpinia. Un ampio territorio di montagna, punteggiato di piccoli centri, frazioni e casolari isolati è messo in ginocchio. Ovunque crolli e distruzioni. Le vittime alla conta finale saranno poco meno di tremila e i feriti quasi novemila.
A Verona la notizia rimbalza sui quotidiani e i notiziari radio. Alla televisione scorrono le scene drammatiche del terremoto. Su sollecitazione di uno dei Consiglieri di origine irpina, Antonio Della Chiesa, per tutti “Toni meccanico”, si riunisce nella sede di Via Cappello il Consiglio direttivo del Gruppo alpino Cesare Battisti, allora sottosezione della Sezione del Cai di Verona. Toni Della Chiesa ha in Irpinia la madre, in visita proprio in quei giorni presso la famiglia della sorella, a Pescopagano. L’emozione e la paura sono forti. Toni vuole scendere nelle zone terremotate per ritrovare i suoi cari e per portare aiuto alla popolazione. Lo spirito solidaristico dei soci battistini li porta ad aderire immediatamente alla richiesta d’aiuto del loro amico e compagno d’escursioni. In breve il Consiglio decide. Si farà una veloce raccolta di viveri e di beni di prima necessità e, grazie al progetto del Natale alpino, si raccoglierà una somma da devolvere alle famiglie colpite dal terremoto. Rapidamente arrivano in sede coperte, sacchi a pelo, giacche imbottite, qualche materasso, viveri. E in pochi giorni si organizza un piccolo convoglio di pullmini, messi a disposizione e guidati dai soci che volontariamente si dedicano a questa impresa di solidarietà: sono i fratelli Dolci, Fabio Veronese, Renato Castelli, Giuseppe Muraro, Franco Baschera, Renzo Vignola.
In meno di una settimana la spedizione di solidarietà è pronta a partire. L’Italia del 1980 è molto diversa da quella attuale. Ci vogliono due giorni di viaggio per coprire i 780 chilometri che separano Verona da Pescopagano. E la macchina dei soccorsi in loco sembra non volersi avviare. Gli aiuti sono poco coordinati, male organizzati, scarsi. Le persone vengono estratte a fatica dalle macerie. Molti vagano inebetiti, senza più nulla. Interi paesi sono rasi al suolo, le strade interrotte, le frazioni e le case coloniche isolate non sono ancora raggiunte dai soccorsi. La tragedia è gravissima.
I nostri soci si danno da fare con generosità, come possono. Si mettono a disposizione per costruire baracche di prima accoglienza usando i materiali che i camion dei soccorritori stanno scaricando nel campo sportivo del paese: lamiere, travi, laterizi che vengono accatastati e abbandonati lì, senza un vero progetto di costruzione. Aiutano anche a spostare pacchi e scatoloni di beni inviati in aiuto della popolazione, scaricati alla bell’e meglio nei punti di raccolta. Li stivano all’asciutto, sottraendoli al fango che la neve e la pioggia stanno creando nelle strade e aiutano ad organizzarne la distribuzione. La notte la passano in pullmino, come d’altronde la maggior parte degli abitanti, che cercano un disperato rifugio nelle automobili, nelle roulotte, a volte addirittura tenendo con sé le poche pecore sopravvissute, rimaste ormai l’unica ricchezza di queste famiglie già poverissime e ora colpite dal terremoto. E l’unica speranza di potercela fare a sopravvivere.
Il 5 dicembre, portato a termine il proprio compito, i battistini ritornano a Verona. Ricorderanno per sempre quei giorni drammatici. Sanno di aver dato un piccolo contributo ad alleviare le sofferenze dei terremotati. Sono stati solidali con il loro amico Toni, la sua famiglia e la comunità irpina che, tramite lui, hanno imparato a conoscere. Sanno che amare la montagna, come tutti loro la amano e la praticano, significa anche abbracciare i valori dell’essenzialità, della solidarietà e della capacità di sacrificarsi, almeno un po’, per gli altri che sono nel bisogno. È quello che ogni escursione, ogni ascensione in fondo richiede. E che insegna a fare nella vita.